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Dopo alcuni anni di lavoro e di esperienze sia professionali che personali a contatto con molti ragazzi nelle scuole ed in altri ambiti sportivi, mi sono reso subito contro di come uno dei problemi che più affliggono la nostra società ed i nostri ragazzi negli ultimi anni, è proprio quello del “bullismo“. 

Non passa giorno infatti, nel quale sia la televisione che Internet non riportino un altro episodio di Bullismo, o di semplice crudeltà verso qualcuno più debole o indifeso, che viene sempre più pubblicizzato attraverso i Media stessi, che enfatizzano sempre più, questa nostra forma di Voyeurismo, moderno che ci riguarda un po’ tutti, e che sembra così lontano da noi stessi, fino a quando non ci tocca da vicino, attraverso i nostri figli, nipoti ecc… o, in molti casi, anche nella nostra vita di adulti.


Il bisogno di apparire, di conferme sociali, di approvazione altrui e non meno importante quello di rispetto considerazione da parte di pari ed adulti, rappresentano quelle necessità basilari e vitali che caratterizzano molti di quei ragazzi, con cui ho lavorato nel cercare d’insegnare loro a riconoscere e gestire le loro emozioni più violente ed aggressive che sono alla base del Bullismo. 

Lavorando con ragazzi di scuole sia elementari che medie o superiori, spesso tra le motivazioni che i ragazzi riportavano, vi erano quelle legate al “salvare la faccia” oppure ad un’ipotetica/reale “reputazione” strettamente dipendente dall’approvazione sociale di altri che possono essere i compagni di scuola, gli amici, o i compagni di squadra in ambito sportivo.


Come il grande ricercatore e 1° psicanalista infantile di Boston, rispondente al nome di Erik Erikson, sosteneva nella sua Teoria dello Sviluppo Psicosociale, al 5° stadio definito:
5° STADIO – Identità opposta che si contrappone ad una dispersione e confusione di ruoli –
(fase genitale freudiana) preadolescenza e adolescenza.


Il compito fondamentale dell’adolescente in questa fase è conquistare la propria identità. E’ noto che l’adolescenza è considerata la fase della “crisi di identità”. I genitori non devono adottare comportamenti ambigui con i ragazzi, relazionando con loro a volte come se fossero bambini e a volte come se fossero adulti. I genitori dovrebbero osservare l’evoluzione rapida del fanciullo investito dalla tempesta ormonale tipica di quel periodo e adeguare il modo di rapportarsi con lui armonizzandolo ai cambiamenti stessi. Quando i genitori non adottano comportamenti ambigui e disorientanti nei confronti dell’adolescente e assecondano con opportunità, equilibrio e amore le micro-fasi di questo periodo, i ragazzi potranno ricevere un aiuto fondamentale e conquistare la loro identità.


Questa fase che si aggira tra in 12-18 anni è molto cruciale, perché nella ricerca di questa identità, spesso il ragazzo/a assume ruoli/identità di prova, che cambiano continuamente, come si potrebbe cambiare un vestito ed, in base alle risposte che riceve dall’esterno (genitori o amici) può decidere se mantenere o meno quella maschera o vestito che si è scelto. Se a tutto ciò, aggiungiamo la mancanza di una struttura chiara e ben definita data dalla famiglia/genitori, che definisce non solo i valori ma le regole che poi il ragazzo dovrà per forza di cose incontrare nella stessa società, ed a cui dovrà adattarsi, si crea quel “cocktail” esplosivo che sottostà alla base del comportamento del “Bullo”

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Essere bullo, significa spesso ricevere un riconoscimento positivo e gratificante che il ragazzo/a riceve dai suoi pari, di essere un “figo”, uno con coraggio, pronto a sfidare tutto e tutti, dalle figure che rappresentano l’autorità (genitori, insegnanti, allenatori o adulti in generale) ai suoi compagni/amici che lo apostrofano in modo provocatorio o sostegono il suo sguardo senza timore, tutti atteggiamenti che vengono tradotti dal bullo come una mancanza di rispetto, che lui non può assolutamente tollerare.


Dalle mie esperienze professionali, ho potuto constatare spesso che, coloro che sono considerati “i soggetti peggiori” nella scuola o nella squadra, che creano più problemi, litigano e manifestano un atteggiamento provocatorio, sono spesso quelli più sensibili ed incompresi, ma spesso i più intelligenti e svegli del gruppo, che riscontrano con la loro “faccia tosta, o atteggiamento da duro” un grande riscontro popolare tra i compagni di scuola ed amici. Troppo spesso, hanno inoltre alle spalle, delle situazioni alquanto catastrofiche, genitori inesistenti sia fisicamente che emotivamente/psicologicamente, su cui poter contare per quel sostegno fondamentale in questa delicatissima età e, che non sanno insegnare/comprendere/imporre delle regole chiare e precise, che potrebbero fornire al ragazzo quelle linee guida che definiranno quella sua spina dorsale su cui costruire la sua intera personalità ed esistenza.


Lo sport al contrario, nasce e si sviluppa in un contesto ben definito fatto di regolamenti, etica e comportamenti approvati e riconosciuti pubblicamente da tutti dagli stessi genitori, allenatori, compagni di squadra ed amici che permettono una canalizzazione di energie eccessive, che spesso, se non controllate, anche auto-distruttive. Tutti gli sport, specie quelli che permettono, lo sfogo di queste “extra energie” come quelli di contatto dalla lotta, alla box oppure alle arti marziali, ecc … fanno sì, che questa, più o meno nascosta aggressività, trovi una via di sfogo accettabile in un contesto sociale con regole e strutture condivise ed a quali, anche il più incallito ribelle deve sottostare con conseguenti vantaggi personali, che permetteranno insieme alla fiducia quel miracolo della crescita e del cambiamento dell’atteggiamento del “Bullo”.


In qualità di ex-atleta, ho potuto apprendere personalmente come lo sport e la mia esperienza personale mi abbiano insegnato molto a capire me stesso ed i miei compagni di squadra, ma ciò più ho potuto realmente riuscire a comprendere è l’auto-disciplina richiestami per poter praticare tali attività sportive.

Il karatè mi ha insegnato molto, soprattutto ad affrontare le mie paure e le mie incertezze, ma soprattutto a controllare i miei stati emotivi, come la rabbia, gli atteggiamenti provocatori, che, come in molti ragazzi di oggi, senza una buona guida e struttura familiare possono trasformarsi in atteggiamenti antisociali che rientrano nella definizione di “Bullismo”.

Dr. Massimo A. Mancini LMFT & AMCF